“Arimolla l’osso”: il racconto di Biagio D’Ippolito

[il racconto è uscito in due parti sui numeri 3 e 4 de l’anguilla]

Biagio legge alcune sue poesie nel piazzale dell'ex-Nautico a Termoli il 25 Aprile 2013

Sin da bambino aveva avuto sempre questa sorta di mania. Vagando per la casa dove abitava si trovava davanti alla stanzetta adibita a ripostiglio. Apriva la porta, vi entrava e la richiudeva alle sue spalle. E lì in quel luogo ristretto, al buio e immobile sentiva gli odori che vi erano racchiusi. Da prima l’odore dell’aria stantia poi quello della polvere.Il ripostiglio come parte dell’abitazione era per la sua famiglia il luogo meno frequentato. Esso era pieno di cimeli o cianfrusaglie ormai obsolete per l’uso quotidiano. La mente di quel ragazzino e associava quell’odore del ripostiglio a quello della parola “solitudine”. Se potessero parlare le stanze in cui si abita quel ripostiglio direbbe: <che solitudine>. Questo pensiero passava per la mente di Fra Soma. Quel suo ricordo d’infanzia era ritornato a galla nella sua mente avvertendo lo stesso odore che c’era nella sua piccola cella che era parte di un monastero. Fra Soma pensava : < Sono entrato in questo convento e ho abbracciato l’ordine religioso con gioia. Prima la mia vita era tutt’altra cosa di quella che vivo ora. Ho cambiato il mio nome per far scomparire le tracce della mia persona nella vita precedente. Ho semplicemente capovolto le lettere del mio vecchio nome. Io una volta mi chiamavo Amos. Altro che carità, bonta ed altre virtù legate al bene. La mia vita era l’opposto di quella che ora vivo.

Ma ormai questa è storia passata, qui in questo luogo ho trovato la quiete per la mia mente. Certo, vivere del minimo indispensabile come si fa qui non è certo semplice. Ho dovuto accettare la vita monastica con tutte le sue imposizioni. I monaci di quest’ ordine vivono a stretto contatto con la natura, non ne fanno scempio né la violentano. Riescono a fondersi con essa, perfettamente, traendone di che assicurare la loro sussistenza. Un equilibrio perfetto. Per esempio: le quercie producono ghiande che alla loro maturità cadono sul terreno. I monaci osservando questa scena, hanno recintato la zona circotante dell’albero. Nel perimetro delimitato hanno costruiuto una bassa casupola in cui albergano dei maiali, i quali mangiano le ghiande e a loro volta producono con le loro feci letame, un ottimo fertilizzante per la quercia. Più cresce la quercia, più produce ghiande e maggiore è il numero dei maiali che fertilizzano il terreno sotto la quercia.

Questo sistema per creare ricchezza, é un sistema economico perfetto, perchè non ci sono spese e il tutto si autoalimenta da solo con i ritmi naturali che la natura ha senza inquinare. Io ero d’accordo su tutto questo, però la dinamica con cui si creava questa ricchezza era lenta e andava accellerata, A mio modo di vedere. Ed è cosi che un giorno mi sono recato dal Priore Antonello, e gli ho illustrato la mia idea: < Caro Priore visto il successo del progetto (quercia , ghiande, maiali e letame) io proprorrei di allargare ed aumentare l’area di produzione. C’è vicino al monastero, di nostra proprietà, un laghetto acquitrinoso, maleodorante, portatore di malattie. Potremmo bonificarlo dragandolo e sul quel terreno piantare delle quercie: in pochi anni avremo decuplicato la produzione di carne di maiale. Cosa ne pensa priore? < E no! > Rispose il priore, chiarendo. < La natura ha impiegato millenni per creare il perfetto equilibrio che quotidianamente osserviamo. L’acqutrino potrebbe sembrare inutile per un occhio non attento alle bellezze del creato . Ma riveste una precisa funzione. Per primo é un oasi naturale, visto che l’uomo difficilmente vi si avventura; poi esso è un allavamento di insetti, i quali hanno il compito di impollinare i fiori, senza i quali non si raccoglierebbe nessun frutto. No, Fra Soma, questa tua idea non va bene >. E fra Soma continuava a ricordare. Era tornato una seconda volta dal Priore Antonello, gli aveva illustrato un’altra sua billante idea : < Caro Priore ho visto che ci alimentiamo con il minimo indispensabile, con frugalità. Eppure nel convento le scorte alimentari ci sono e sono pure abbondanti. A volte vedo che alcuni miei confratelli osservano il digiuno. Non vedo proprio perchè dovremmo vivere in ristrettezze alimentari . Non potremmo rivedere la quantità della nostra alimentazione? > <E no!> rispose il Priore, e chiarì la sua idea: < Le scorte alimentari che la natura ci ha donato non sono nostre ma dell’umanità intera . Quell’umanità che in un giorno di carestia potrebbe venire a bussare alla nostra porta. É bene che noi siamo pronti a qualsiasi evenienza. La carestia porta il caos che a sua volta genera violenza. Anche se tu ora sei sazio Fra Soma, nel mondo c’e qualcuno che soffre la fame e potrebbe bussare alla nostra porta. Come potremmo segnati della nostra dottrina non aprirgli e sfamarlo? >

E Fra Soma continuava a ricordare. Andò dunque dal priore una terza volta e gli disse :< Ho sentito dagli altri fratelli che il convento ha accumulato un piccolo tesoro, frutto di lasciti di pellegrini che qui sono stati ospitati. Ora giace nella sacrestia inutilizzato, è un capitale morto. Non potremmo darlo in prestito anche ad un interesse basso?> <E no!> disse il Priore e chiarì < Quelle ricchezze non ci appartengono, noi siamo più che soddisfatti del tenore di vita che abbiamo. Teniamo quel capitale a dispozione per chi si dovesse trovare in condizioni finanziarie sfavorevoli. Essi vengono e noi gli prestiamo una parte del capitale.Tanti non tornano ma altri vengono e restituiscono il prestito con gli interessi che loro hanno deciso di darci. il resto non ci interessa.> Frate Soma aveva finito di ricordare e contemporaneamente di scavare in un angolo della sua stanzetta. Aveva rimosso il pavimento ed aveva cavato una buca lunga un metro e larga e profonda la metà della lunghezza. Nel più assoluto silenzio era riuscito a compiere quel lavoro, che aveva richiesto alcune notti, rimise quindi nel suo ordine le lastre di pietra e si ando a coricare. Prima di addormentarsi ripassò il suo piano per l’indomani, E così la notte dopo sgattaiolo fuori dalla sua cella in assoluto silenzio. Nel buio più totale della notte, uscì dal dormitorio e attraversato il cortile entrò in chiesa. Qui accese una piccola candela , si recò in sacrestia e forzò scassinandolo l’armadio dove era contenuto il tesoro del monastero. Aprì il sacco di iuta che aveva con sé e vi introdusse tutti i preziosi del monastero. Nel fare ciò vide che qualche monile gli era familiare, come se l’avvesse gia avuto fra le sue mani. Ma alla tenue luce della candela non riusciva a riconoscerlo. Svuotato l’armadio e riempito il sacco uscì dalla chiesa e rientrò nella sua stanzetta. Nascose interrandolo il bottino nella buca che aveva precedentemente scavato e rimise il pavimento nel suo solito ordine, di modo che non si trovassero più tracce dell’occultamento. Si mise a letto, e il suo volto fu segnato da un sorriso che da principio incominciava ai lati delle labbra e via via si estendeva a tutto il suo viso. Prima di addormentarsi si beò con se stesso di questa riflessione: < E no ! ora lo dico io, caro Priore Antonello. L’ economia praticata nel monastero è troppo lenta, vecchia, arcaica. L’economia quella con la ” E ” maiuscola la conosco io. Quando mi chiamavo Amos, sapevo bene come arricchirsi di tutto e di più nel modo più veloce. Non fa niente se si deve andare a discapito della natura o del prossimo anche a costo di portarlo alla disperazione. La frugalità non porta ad una crescita in termini di sviluppo. Bisogna consumare di più e così facendo, produrre di più , anche se consumiamo le risorse del pianeta Terra. Io non ho nessuna intenzione di fuggire come un ladro dal monastero. Io voglio diventare Priore , dominare , avere il potere su tutti i monaci.> E lì fra Soma si addormentò…

Biagio D'Ippolito

Il mattino dopo, tutto il monastero era in subbuglio. I monaci si erano accorti della sparizione del tesoro. Cercarono in tutto il monastero ma non trovaro nulla: dei preziosi si era persa ogni traccia. Arrivarono alla conclusione che quelle ricchezze non erano per loro, non le meritavano. Forse un entità astratta gliele aveva rubate. Passarono i mesi e il tesoro piano piano veniva ricostituito. Per i monaci alla fine era come se non avessero perso niente. Fra Soma, dal canto suo, in una di quelle notti decise di allontanarsi dal convento, aveva scritto una lettera su cui si leggeva: «Cari confratelli, stanotte ho sognato mia madre agonizzante in un letto: mi chiamava dicendomi: ‘Figlio mio vieni da me! voglio rivederti prima di lasciare questa faccia della terra.’ Non preoccupatevi, tornerò da voi nel giro di una settimana». Ma il progetto di fra Soma era ben altro: egli voleva vendere il tesoro in cambio di monete d’oro, per poi recarsi in città dal superiore del Priore Antonello, lui, l’Eccellenza che aveva il potere sul monastero. Ed è li che con il corpo di Fra Soma e la mente di Amos avrebbe lasciato in donazione metà delle monete d’oro all’Eccellenza, a patto che lo nominasse Priore del Convento, con tanto di carta scritta e firmata. Tale pergamena nelle mani di Fra Soma lo avrebbe riportato al convento per reclamare il posto da Priore. Cosí si alzó dal letto dove lasció la lettera, prese il sacco con il tesoro che aveva precedentemente dissotterrato, se lo caricó sulla schiena e uscì dalla sua celletta. Passò sotto il chiostro e arrivò al centro del cortile, lì a pochi passi da dove c’era il portone di ingresso del convento. Tra un pò si sarebbe tolto di dosso quell’odore di solitudine che lui sentiva in se stesso. Puzzava di ripostiglio, e pensava: «Ora le cose cambieranno grazie al tesoro. Gli altri dovranno ascoltarmi, non sarò più il solo a condividere e veder realizzare le mie idee». In quel momento successe una cosa strana: tutt’intorno a lui c’erano delle piccolissime luci, che sembravano per dimensione simili a quelle delle lucciole. Poi piano piano tutte insieme incominciarono a crescere di intensità sino ad illuminare tutto il cortile. Ognuno dei quaranta monaci che abitavano nel monastero aveva una lanterna e si erano schierati tutti a cerchio attorno a Fra Soma e contemporaneamente; avevano aperto lo spioncino della lanterna, ma lui non si fece intimorire. Cosa potevano fargli dei monaci pacifici? Parlò per primo, e disse: «Fratelli ci deve essere un errore, posso spiegare tutto». Uno dei monaci uscí dal gruppo e si avvicinó a Fra Soma, si scoprí il capo calandosi dietro le spalle il cappuccio del saio. Era il Priore Antonello, che disse: «Buonanotte Fra Soma, o preferisci che ti chiami Amos?» Un brivido gelato corse lungo la schiena di Fra Soma, e balbettando disse: «Ma cosa siete degli indovini? degli stregoni? Che sorta di magia vi permette di sapere che io stavo scappando con il tesoro del monastero stanotte? E poi come fate a conoscere il mio vero nome che è Amos», ed urló ad alta voce: «non so proprio cosa pensare». Antonello il Priore disse: «E no! non abbiamo fatto nessun incantesimo. Ma di una cosa hai ragione, abbiamo il dono della preveggenza. Quando arrivasti qui due anni fa ti abbiamo accolto ed eravamo entusiasti del tuo abbracciare la vita monastica. Avevamo anche creduto che tu avessi adottato il nome Fra Soma (soma, peso che grava sul dorso dell’asino) per il carico di lavoro che ogni giorno espletavi perfettamente. Ma tutti noi ci siamo accorti che in te c’era qualcosa che non andava. Tu sai che ci sono tanti tipi di apprendimento del sapere. Uno dei più importanti è quello di leggere dei libri. Questa conoscenza porta in ogni essere umano uno sbocciare del sapere individuale, che condensato in una sola parola, si chiama Cultura». Sì, ti abbiamo visto andare in biblioteca a leggere. Ma quello che non ci convinceva era che tu non cercavi, dopo dopo la lettura di confrontarti con gli altri fratelli e essere assorbito dal sapere dei monaci, in una sorta di cultura. La nostra è una scuola di pensiero comune. Da questo tuo negarci i tuoi punti di vista su dei testi che tutti noi avevamo letto, abbiamo capito che tu non stavi memorizzando quegli scritti. Il tuo assorbimento del sapere era falso e continuavi ad avere la stessa cultura della persona che eri prima di entrare qui. Cosí ti abbiamo tenuto d’occhio con discrezione. Poi c’è stato il furto del tesoro, e abbiamo capito subito che solo tu potevi essere il responsabile. In quanto al fatto di come sappiamo che ti chiami Amos ti raccontero questa storia: «Poco tempo dopo che tu eri stato accolto al monastero, ed eri fuori, in giro per aiutare il frate predicatore, una mattina sentimmo graffiare sul portone di ingresso al convento. Lo aprimmo e vedemmo tre cani affamati, gli demmo da mangiare e notammo che avevano a turno trasportato, serrando le mascelle con le zanne, un bauletto per le maniglie. Al suo interno trovammo un tesoro con una tua foto, un diario con sù il tuo nome, dove all’interno hai raccontato di come ti eri arricchito. Lì c’erano annotati tutti gli illeciti da te perpetrati a danno del prossimo. Questo é tutto caro Amos». Di colpo tutti i monaci spensero cotemporaneamente le lanterne e subito dopo quaranta voci simultaneamente urlarono la frase :«Amos, a’rimolla l’osso!» Il sacco con il tesoro cadde per terra, lo si capí dal rumore del metallo. Amos, preso dal terrore, riuscí ad uscire dal convento e fu inghiottito dalla notte. I monaci tornarono ognuno alla propria cella e si prepararono per dormire. Ma prima di assoppirsi, tutti quanti, pensarono : «Amos credeva di essere il padrone di tutte le nature. Ma se avesse dialogato senza preconcetti con noi avrebbe capito che l’uomo rappresenta l’un per cento del creato e quindi non puó essere il padrone del mondo. Puó illudersi di dominare il pianeta Terra, ma non sa che la natura, essendo pura, si rivolterá contro di lui prima o poi a dismisura». e tutti si addormentarono.

15-6-2014 Biagio D’Ippolito

Dedicato alla madre terra