#NoTriv COSA BISOGNA SAPERE, E COME POSSIAMO AGIRE/Scarica la brochure

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Cosa bisogna sapere / Cosa rischiamo / Come possiamo attivarci?

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PARTE LA CAMPAGNA NAZIONALE CONTRO LA DEVASTAZIONE E IL SACCHEGGIO DEI TERRITORI E DEI DIRITTI SOCIALI

PARTE LA CAMPAGNA NAZIONALE
CONTRO LA DEVASTAZIONE E IL SACCHEGGIO
DEI TERRITORI E DEI DIRITTI SOCIALI

Per salvare l’ambiente, la salute e i diritti sociali, perché siano i cittadini a decidere sul futuro del loro territorio, è nata, nel corso di una partecipatissima assemblea nazionale svoltasi ad Ancona domenica 4 ottobre, la campagna nazionale contro la “Devastazione e saccheggio del territorio“.

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Circa 300 cittadini, con decine di comitati e movimenti dalla maggior parte delle regioni, hanno partecipato all’iniziativa, analizzando le condizioni concrete che hanno determinato l’attuale situazione di disastro ambientale e di attacco alle condizioni di vita delle popolazioni.

E’ stato sottolineato come lo Sblocca Italia non sia solo una legge negativa, ma un vero e proprio sistema di ricomposizione dei poteri forti contro le resistenze sociali e territoriali. Resistenze che possono ampliarsi e costruire nuove iniziative in grado di rispondere in modo adeguato alla violenza ed alla velocizzazione del processo di devastazione.

Per questo affermiamo che il nostro agire ha senso nel comune impegno di solidarietà e di coordinamento tra le lotte con decisioni prese collettivamente su cosa costruire a livello nazionale.

Nei diversi interventi sono stati individuati contenuti e metodi comuni:

  • Costruire assieme la campagna nazionale specifica “Devastazione e saccheggio del territorio; difendere i diritti ambientali e sociali”, che sia inclusiva delle lotte che si stanno svolgendo nel paese senza costruire l’ennesima nuova rete.
  • Costruire un blog, una pagina facebook e un profilo twitter, animandoli attraverso una redazione aperta al contributo dei singoli gruppi attraverso un impegno costante. Il blog dovrà contenere due aree principali: quella relativa alle iniziative di lotte territoriali ( singole o definite collettivamente a livello nazionale ) e quella di scambio di materiali utili (documenti; norme; vademecum; casi-studio ecc.).
  • Attivare immediatamente iniziative condivise di solidarietà tra le lotte, a partire da alcune che sono già in programma e su cui convergere unitariamente come il 14 ottobre a Roma sul progetto petrolifero Ombrina Mare e il 17 ottobre sull’inutile e miliardaria TAV Brescia-Verona. Successivamente il 6-7 novembre l’iniziativa del Forum dei Movimenti per l’Acqua a Roma per difendere ed affermare il risultato referendario del 2011.
  • Promuovere una prima iniziativa comune e condivisa di livello nazionale che colleghi la “Devastazione e saccheggio al tema del riscaldamento globale” . Una iniziativa diffusa sui territori dal 29 novembre all’8 dicembre in contemporanea con il summit internazionale sul clima di Parigi. Si comporrà un programma d’iniziative decise autonomamente dai singoli comitati/movimenti contro la devastazione e il saccheggio. Ogni territorio deciderà data e azione, tranne che per lultimo giorno, l’8 dicembre, decennale della ri/presa del cantiere di Venaus in Val di Susa, in cui si convergerà da tutta Italia per una manifestazione decisa dal Movimento No-Tav.
  • Una seconda iniziativa coordinata a livello nazionale, il “Festival diffuso delle arti contro le devastazioni ambientali e il saccheggio del territorio, da organizzare in una settimana tra gennaio e febbraio. Chiederemo ad artisti nazionali e locali di contribuire alla campagna offrendo un concerto, una mostra, una performance ecc. ai comitati. Un unico cartellone nazionale con eventi diffusi in ogni regione, organizzati dalle singole realtà.
  • Una terza attività nazionale, una “carovana dell’autoformazione” da svolgere in una settimana del prossimo anno con un programma nazionale di seminari e incontri tecnico-scientifici sugli aspetti tecnici dei progetti, dalle bonifiche alla deriva petrolifera, passando per aree poco trattate come le questioni finanziarie, la lotta alla corruzione e ai conflitti d’interesse che contraddistinguono i progetti che contrastiamo e la trasparenza della pubblica amministrazione. Iniziative diffuse organizzate dal basso in un singolo programma con un unico filo conduttore quella della lotta alla devastazione e al saccheggio del territorio.

Il ricco confronto d’idee, che ha visto la partecipazione anche dei rappresentanti del movimento per la difesa della scuola pubblica, della FIOM e del Forum nazionale dei Movimenti per l’Acqua, ha evidenziato:

  • La necessità di avviare percorsi comuni e integrati di lotta perché l’attacco ai diritti ambientali e sociali deriva da una strategia del turbo-capitalismo, continuando il confronto e iniziando ad operare progressivamente non solo in maniera coordinata ma anche elaborando iniziative comuni.
  • Ogni azione nazionale deve essere consequenziale alla crescita sociale derivante dalle reali lotte territoriali e non viceversa, anche per evitare che le lotte siano facilmente strumentalizzate per risolvere contenziosi interni alle maggioranze di governo o per forzature politiciste estranee ai nostri obiettivi. Su quest’aspetto sono emerse critiche diffuse sull’iniziativa referendaria delle regioni in merito alla questione petrolifera sia dal punto di vista dei contenuti sia del metodo (credibilità dei proponenti istituzionali che avallano addirittura progetti connessi agli idrocarburi nel mentre sostengono il referendum; insufficienza dei quesiti che lascerebbero aperta la strada ai progetti petroliferi oltre le dodici miglia e sulla terraferma; assenza di quella visione generale che ha sempre contraddistinto i momenti referendari, con il confronto tra opzioni confliggenti alla radice su temi generali per la società). I referendum, come qualsiasi mezzo di lotta che si voglia utilizzare, hanno un senso ed una efficacia solo se puntuali rispetto ai tempi che si vivono, se legati ai processi sociali ed a percorsi di democrazia reale senza dei quali vengono svuotati e resi inutili ed a volte controproducenti.
  • Mantenere sempre assieme alla denuncia e all’azione di contrasto dei progetti la fase propositiva che, pur avendo sempre contraddistinto i movimenti, è stata finora troppo spesso oscurata.
  • In generale, moltiplicare le occasioni di affermazione delle lotte con azioni diffuse esercitando quella ”pressione popolare spietata” che molto spesso è risultata vittoriosa in molte lotte.
  • Rivendicare che la lotta paga e che se l’Italia non è stata totalmente devastata, lo si deve alle lotte territoriali che hanno coinvolto negli ultimi decenni milioni di cittadini interessati alla salvaguardia del Paese e alla qualità della vita.

Coscienti che si riparte da un grande e spesso sconosciuto bagaglio di socialità, di esperienze, di capacità scientifiche e di autorganizzazione diffusa. Un insieme di alternative che dai territori emergono contro la distruzione dei livelli concreti e formali di democrazia che questo sistema porta con sé.

Consapevoli che nulla è irreversibile e che il nostro” fare e pensare” – il nostro testardo bisogno di cambiare la realtà che opprime – ci permette di dare un senso globale al tempo che viviamo, fuori dalle logiche privatiste ed individualistiche. Ci permette di costruire livelli di socialità e solidarietà nuovi e più duraturi che ci rendono felici come persone e come comunità, al di là delle nostre singole vittorie o sconfitte quotidiane. Più che sognare lontane e futuribili alternative pratichiamo ogni giorno in tutte le nostre azioni il mondo nuovo per cui lottiamo.

I partecipanti vogliono ringraziare TrivelleZero Marche per aver ben organizzato questo appuntamento che continua il percorso iniziato a Pescara il 24 maggio ed in agosto a Lanciano e che sarà importante per tutte le lotte ambientali in Italia.

Assemblea nazionale per la campagna
contro la devastazione e il saccheggio
dei territori e dei diritti sociali.

Nasce il Coordinamento Trivelle Zero Molise: CACCIAMO I PETROLIERI, DIFENDIAMO LA NOSTRA TERRA E IL NOSTRO MARE!

COMUNICATO STAMPA

Nasce il Coordinamento Trivelle Zero Molise:

CACCIAMO I PETROLIERI, DIFENDIAMO LA NOSTRA TERRA E IL NOSTRO MARE!

UNIAMOCI IN UNA MOBILITAZIONE FORTE E GENERALIZZATA

Di fronte alla massiccia ondata di concessioni e domande di ricerca ed estrazione di idrocarburi che ricopre a tappeto la terra molisana ed il Mare Adriatico lunedì 24 agosto, alla presenza di circa 40 persone provenienti da diverse realtà politiche e associative della costa e dell’interno molisano, si è costituito a Termoli il Coordinamento “Trivelle Zero Molise”.

L’obiettivo che ci prefiggiamo è quello di aggregare il maggior numero di cittadini, categorie, comitati, associazioni e movimenti nella lotta alla petrolizzazione del nostro territorio, ed in generale ad una logica di sviluppo che non tiene conto delle vere ricchezze dei nostri territori, imponendo decisioni dall’alto che portano solo profitti nelle tasche delle grandi multinazionali e nessun beneficio alle comunità locali.

Oggi i 2/3 del territorio molisano sono interessati da richieste o concessioni di estrazione e ricerca di idrocarburi, e lo stesso vale per quasi tutto l’Adriatico (la sola concessione di prospezione alla società Spectrum Geo che va dall’Emilia-Romagna al Gargano, ricopre oltre un milione di ettari di mare! Scaricabile qui il dossier “Tutti i numeri delle trivelle in Molise”: http://imazzemarille.noblogs.org/post/2014/11/24/23-del-molise-a-rischio-trivelle-scarica-il-dossier/). Il petrolio estratto dal nostro mare è d’altronde di qualità infima, e viene estratto a prezzo di rischi ambientali elevati, tanto più alti quanto più bassa è la qualità del prodotto estratto. E cosa ne viene alle comunità locali? I posti di lavoro guadagnati sono pochissimi e la tassazione per le compagnie è ridottissima: le prime 50.000 tonnellate di petrolio per ogni pozzo ogni anno, infatti, sono regalate ai petrolieri! (DL n. 625, 25 nov. 1996, art. 19, c. 3).

Per queste ragioni il nascente Coordinamento “Trivelle Zero Molise”, a seguito delle attività di comunicazione già svolte a Termoli nelle festività di San Basso e della Sagra del Pesce, invita in primo luogo tutte le istituzioni a fare, e continuare a fare, ogni cosa sia in loro potere per ostacolare questo processo (a questo proposito si domanda ad esempio: perché nessun amministratore molisano ha presentato ricorso al Tar contro la recente approvazione di ampliamento del campo “Rospo mare” ?), e tutti gli abitanti a tenere alta l’attenzione e ad attivarsi concretamente per sensibilizzare e mobilitarsi contro la devastazione e il saccheggio del nostro mare e della nostra terra.

Il Coordinamento promuove quindi le seguenti attività:

  • un’assemblea pubblica a Termoli alla fine di settembre, alla quale si invitano sin da ora tutti gli operatori dei settori della pesca e del turismo;

  • la partecipazione attiva alla manifestazione del 27 agosto alla manifestazione tremitese promossa dall’associazione “Tremiti Punto e a Capo”;

  • la partecipazione alla campagna bandiere che verrà lanciata dal movimento abruzzese No Ombrina: si chiederà cioè ai cittadini e alle attività commerciali di mostrare la loro contrarietà alla petrolizzazione esponendo bandiere “Trivelle Zero – Salviamo l’Adriatico”;

  • la costituzione di un gruppo di studio, a cui si invitano tutti i cittadini interessati, che avrà lo scopo di produrre documenti d’inchiesta e di informazione per sensibilizzare i cittadini e le istituzioni al problema.

Trivelle Zero Molise

notrivmolise@gmail.com

Materiali e info disponibili presso: spazio popolare autogestito, via XXIV maggio 51, Termoli

Corso Linux Termoli

LinuxAlloSpa

 

Sabato 27 Giugno 2015 e Sabato 4 Luglio 2015 ci saranno due sabati dedicati al Sistema Operativo Linux, il sistema privo di licenze e scaricabile in rete per computer e portatile (e non solo) … verranno presentati il sistema operativo Ubuntu con installazione e gestione dei programmi. Il 4 Luglio 2015 verrà dedicato invece oltre a Linux ai sistemi operativi per mini pc programmabili con Raspberry Pi , l’antagonista di Arduino che permette di creare minicomputer , stampanti 3d, termostati e non solo con l’uso di sistemi Linux liberi

Ingresso con sottoscrizione (5 euro)

Sabato 27 Giugno 2015 dalle ore 15:30 alle ore 18:30

-) Desktop Manager e Finestre su Linux 15:30
-) Linux: le basi 17:00
-) Installazione di Ubuntu 17:30

Sabato 4 Luglio 2015 dalle ore 15:00 alle 18:30

-) Raspberry Pi 15:00
-) Programmi Base su Linux (dal social all’ufficio) 17:30

c/o Spa Spazio Popolare Autogestito
Via XXIV Maggio 51, Termoli (CB), a pochi metri dalla Stazione di Termoli e dal Lungomare.

Un (contrac)colpo al cuore dell’Occidente

di Francesco De Lellis
Murales di Blu a Campobasso

Murales di Blu a Campobasso

Otto anni passati a studiare il mondo arabo, la lingua, i dialetti, le religioni (ebbene sì, non ce n’è solo una di religione), la storia politica ed economica, e non mi permetterei mai di esprimere giudizi così netti sull’Islam (l’accento è sulla ‘a’) o ‘gli islamici’ come quelli che in questi giorni ho intravisto sulla stampa, dagli opinionisti di facebook, o ascoltato in televisione. Sedicenti ‘esperti’ danno prova delle loro doti in tuttologia lanciandosi nelle peggiori lezioni di razzismo e islamofobia dall’11 settembre in poi. Tutti, nessuno escluso, interpretano i fatti di Parigi come un attacco al cuore dell’Occidente, il che presuppone, in maniera più o meno esplicita, un ‘Oriente’ da qualche parte che ce l’ha a morte con ‘noi’ e che ci vuole annientare. Da qui l’urgenza di dire due cosette. Non sull’Islam, sul terrorismo (non ne sarei all’altezza), o sulla libertà di espressione (che è fuori discussione), ma sui processi politico-mediatici innescati dai fatti di Parigi.
L’idea dello ‘scontro di civiltà’ è stata teorizzata e predicata da una certa corrente di pensiero conservatore statunitense che postula l’assoluta diversità e incompatibilità della ‘civiltà occidentale’ con quella islamica, simbolo di un ‘Altro’ che ci minaccia e da cui dobbiamo difenderci. Molto semplicemente, per gli amanti dello scontro di civiltà ‘l’Occidente’ e ‘l’Islam’ sarebbero due blocchi monolitici e immutabili, con dei valori essenzialmente in contrasto e irriducibili tra loro, e perciò destinati allo scontro, da cui uno solo uscirà vincitore. Altro ‘peccato originale’ di questa visione è l’idea che l’Islam possa essere l’unica lente attraverso cui leggere i processi politici e sociali dell’intero mondo islamico (ma sarebbe meglio dire dei mondi islamici), senza affatto considerare altre possibili prospettive: nazioni e nazionalismi, differenze di classe, di genere, ideologiche, movimenti culturali, sono solo alcuni dei tanti angoli prospettici in cui potremmo posizionarci come osservatori.
Il problema è che, anziché restare semplicemente un’idea confinata a qualche circolo, giornale o think tank, questa visione è ciò che ha animato e giustificato le politiche di tutti gli stati occidentali in materia di politica estera, sicurezza, immigrazione, rapporti con le minoranze, negli ultimi quindici anni almeno. Così, non volendo (o forse sì), le nostre classi dirigenti hanno creato il terreno perfetto per il proliferare di estremismi anti-occidentali. I cosiddetti fondamentalisti (termine usato spesso impropriamente, e molto abusato) sguazzano gioiosamente nel discorso e nelle politiche confezionate dagli stati occidentali. Dialogo con l’occidente? “Quale occidente?” direbbero loro, “quello che ha bombardato i civili in Afghanistan, Iraq, Yemen, Somalia, Pakistan? Che ha appoggiato regimi dittatoriali che garantivano i loro interessi economici? Che rifornisce da decenni armi e aiuti a Israele mentre questi occupa e massacra palestinesi?”.
Insomma, a forza di predicarlo (e praticarlo), lo scontro di civiltà si materializza sempre di più, creando quel nemico (elemento essenziale per uno scontro) che se prima era debole e stentava ad emergere, adesso fiorisce e si riconosce perfettamente in quel terreno di combattimento diviso in due (da una parte i buoni dall’altra i cattivi), e dove non c’è spazio per l’attenzione alle storie, alla complessità, alla variegata galassia di fattori e processi sociali che stanno alla radice di eventi tragici come quello di questi giorni. In sintesi, detta con le parole di un mio collega e amico, “plasmando l’immagine di un Occidente e di un Islam separati non si fa altro che spingere chi non riconosciamo come parte di quell’Occidente nell’altro stampino, creando il nostro nemico”. L’ISIS e i governi occidentali, i terroristi di Parigi e i vari Le Pen e Salvini hanno bisogno l’uno dell’altro, si nutrono e crescono l’uno dell’esistenza dell’altro. Non lo sanno, ma sono due facce, indivisibili, della stessa schifosa oppressione. 
E infatti già adesso, la macchina repressiva si concentra sui quartieri a maggioranza musulmana, mentre da noi si ripete che bisogna vietare le preghiere islamiche e le moschee, e che siamo stati troppo ‘buonisti’ di fronte all’arrivo degli immigrati (e che quindi, deduco, avremmo dovuto lasciarli morire in mare o nel deserto, secondo i valori della civiltà occidentale).
Io non pretendo che i miei amici musulmani (si dice musulmani, non islamici!) chiedano scusa o prendano le distanze da questi attentati. Come io non mi sento di dover chiedere scusa per la guerra in Iraq, in Afghanistan, per le torture di Guantanamo, le stragi quotidiane di palestinesi e siriani, gli attentati fascisti e islamofobi delle destre. Combatto tutti i giorni contro i governi che seminano devastazione sociale e i loro eserciti obbedienti di soldati, polizia e camerati. Non siamo esponenti della stessa ‘cultura’, eppure qualcuno ci etichetterebbe insieme come ‘occidentali’, così come la maggior parte dei due miliardi e più di musulmani nel mondo non hanno niente a che spartire con i tre del commando parigino o con i miliziani dell’ISIS. Di Occidente (ammesso che poi esista) non ce n’è uno solo. Perché dovremmo pensare che la cosa sia diversa per il mondo islamico? Storie, tradizioni, lingue, identità locali, religiose, politiche, non solo sono tantissime e diversissime tra coloro che ricadono sotto queste due etichette, ma sono in continua evoluzione, da sempre soggette alle forze sociali, economiche, politiche, di chi lotta per affermare interpretazioni discordanti, e visioni conflittuali degli stessi valori, ideali, siano essi laici o religiosi. Lo dimostra il fermento che c’è oggi sull’una e sull’altra sponda del Mediterraneo, tra chi lotta, tra mille difficoltà e pericoli, per costruire società realmente libere, giuste, solidali.
Intellettuali e politici di destra italiani, a partire da Oriana Fallaci, passando per Gasparri e Salvini, e arrivando a Sallusti, sono i maggiori seminatori di questo odio basato su una visione a blocchi contrapposti, quando parano esplicitamente di una “civiltà superiore”, invocano “operazioni militari” contro “il nemico in casa”, puntano il dito contro “l’islamizzazione” delle nostre società (!) e gridano “basta barconi”. Ma il verme strisciante dello scontro di civiltà si annida (ed è forse quello più pericoloso) anche tra i liberali e democratici intellettuali ‘di sinistra’, e persino grillini, con il loro perbenismo, qualunquismo, razionalismo, ateismo, sempre pronti all’uso.
Le finte lacrime di chi pubblica l’hashtag #jesuischarliehebdo colmo di indignazione per la barbara uccisione dei giornalisti francesi mentre poi, ad esempio, non ha mai speso una parola per i morti ammazzati dalle dittature arabe, spesso laiche, ancor più spesso filo-occidentali, sono lacrime selettive, e quindi stupide, o peggio ipocrite e strumentali. Sono le lacrime di chi piange come se ci fossero morti ‘nostri’ (quelli importanti, perché rappresentano la nostra ‘civiltà’) e morti “di altri” (quelli che non contano granché, perché non ci appartengono), anziché semplicemente vittime e carnefici.
È facile fare il tifo contro ‘i cattivi’. È comodo ma ingannevole cercare un nemico, facilmente identificabile, con un nome e una faccia ben precisa, sia esso l’Islam, le religioni tutte, l’immigrato, o l’uomo bianco. Più difficile prendersi il tempo per capire questioni complesse, non accontentarsi delle spiegazioni che restano sulla superficie. Qualcuno potrebbe rimanere deluso scoprendo che quei fantasmi non esistono, che sono solo creazioni inculcate nelle menti per generare la paura e il risentimento, e così coltivare l’odio e il bisogno di essere protetti dalle insidie del mondo là fuori.
La chiamata alle armi per la guerra santa è già stata lanciata. Noi non ci arruoleremo.

È arrivato l’uomo nero… Termoli ha paura dei nuovi arrivati dal mondo?

da l’anguilla n. 4, a cura del collettivo i mazzemarille

Da poco a Termoli ha aperto un centro di accoglienza per richiedenti asilo. Lo diciamo subito, ci spaventa e rattrista l’esplosione di intolleranza dei termolesi di fronte a questo evento. La colpa, dicono in tanti, è tutta degli immigrati, che, in sintesi, “rubano lavoro, prendono 35 euro al giorno, e poi diventano criminali”. Niente di più falso e approssimativo. Ma, davvero, sappiamo di cosa stiamo parlando?!?

Quasi sempre, sappiamo poco o niente dei paesi di provenienza dei nuovi arrivati: storie, culture, – non sappiamo neanche dove sono sulla mappa – eppure pretendiamo spesso di parlarne e giudicarli tutti in blocco. Oltretutto, queste storie ci riguardano spesso da vicino: in molti casi c’è proprio l’Occidente (cioè i nostri governi, le nostre multinazionali, i nostri antenati, molto spesso noi stessi) dietro i saccheggi, le devastazioni ambientali, le guerre, le dittature di tante parti del mondo. Ma preferiamo non guardare, non sapere, non capire. Non ci interessa dell’Ebola, finché resta in Africa. Della Siria non ci siamo interessati quando il popolo si ribellava contro il dittatore e veniva massacrato per le strade a colpi di mortaio. Restano per noi mondi sconosciuti – fatti di immagini e stereotipi che al massimo ogni tanto ci fanno commuovere e donare qualche euro in beneficenza.

Cortei Roma: in piazza anche immigrati, via Bossi-Fini

Certo, non dobbiamo tutti diventare esperti di questioni di politica africana o mediorientale (anche se non ci farebbe per niente male) ma capire la complessità che c’è dietro le migrazioni ci eviterebbe perlomeno di essere superficiali e dire stupidaggini pericolose.

Per troppo tempo abbiamo pensato di poterci rinchiudere nel benessere del nostro occidente e lasciare fuori tutto il resto. Ma il mondo bussa alle nostre porte e chiede il conto. Gli assetti geopolitici saltano e si rimescolano in continuazione. Ma i giochi di potere lasciano sempre vittime tra chi sta in basso, e tanti cercano il loro riscatto e la loro dignità rischiando tutto in viaggi spesso durissimi, venendo a chiederci soltanto il diritto di vivere in pace e dignitosamente. In questo tempo di crisi in cui anche molti italiani vivono la povertà, la precarietà, l’emigrazione, è nostro compito riconoscere chi sono i veri ‘nemici’ (quelli che stanno in alto), e chi invece arriva da noi vittima di quello stesso sistema che oggi affama tanti anche in Europa.

E poi, oltre alle grandi storie di nazioni, confini, guerre, persecuzioni, esiste la miriade di storie personali di chi arriva qui. Se non siamo obbligati a conoscere la storia dei cinquanta e più paesi africani siamo invece ‘obbligati’ ad uno sforzo per avvicinarci e conoscere i nuovi arrivati – per integrarci con loro (e non per ‘integrarli’). Dovremmo innanzitutto coglierla come una grande occasione di incontro. Lanciarci, rispolverare quel po’ di inglese e francese che sappiamo (e sennò basta anche qualche sorriso per iniziare) – consapevoli che l’incontro non è facile, non è qualche pacca sulle spalle e un paio di scarpe regalate. È tempo, fatica. Il tempo della scoperta. La fatica delle differenze e diffidenze reciproche. Ma va fatto. Il mondo va in quella direzione.

E non saranno le varie leggi Bossi-Fini, o le urla dei fascio-leghisti alla Salvini a fermare la Storia del Mondo, che è fatta da sempre di movimenti di massa degli esseri umani. Oggi la crisi economica e l’arrivo dei migranti ci ricordano che siamo parte di un unico mondo e, come il denaro che viaggia alla velocità della luce nei circuiti virtuali dei mercati finanziari, così anche gli esseri umani oggi pretendono di poter attraversare liberamente le frontiere. Non ci chiedono niente – solo di non sbarrargli in faccia quelle porte. Perché tanto, anche se noi lo facessimo, loro continuerebbero ad oltrepassarle, ma ad un costo umano altissimo, insopportabile per noi che ci definiamo ‘civili’.

Oggi queste persone sono qui. Spesso guardati con disprezzo, sospetto e paura da molti nelle nostre città. E di certo il modello di accoglienza non aiuta. Anziché predisporre un piano serio per affrontare il fenomeno (siamo un paese di frontiera) si continua a gestire tutto come un’emergenza: è così che l’accoglienza diventa un business, e invece di aiutare queste persone a vivere dignitosamente e costruirsi un presente e un futuro, li lasciamo spesso in un limbo burocratico a tempo indeterminato, dal quale usciranno spesso disorientati, senza relazioni sociali con le comunità locali e senza nuove prospettiva di vita rispetto a quando sono arrivati. È perciò che (come tanti altri termolesi, per fortuna) abbiamo deciso di andarli a conoscere personalmente. È così che abbiamo avviato un corso di italiano per stranieri, ogni martedì pomeriggio presso lo spazio sociale di via XXIV Maggio 51. Spazi e momenti per uscire dalla routine quotidiana e fare amicizie imparando a conoscersi reciprocamente. E così adesso quando a volte ci capita di incontrare in giro qualcuno di loro, ci salutiamo e scambiamo due chiacchiere, un po’ in italiano, un po’ in inglese, o con un francese un po’ stentato. Cercando di farli sentire il più possibile accolti, di casa. Ed è in quei momenti che anche a noi Termoli inizia a sembrare un po’ meno respingente, spaventata, e spaventosa.

TRIVELLE IN MOLISE. I COMITATI “LA REGIONE AGISCA O SARÀ COMPLICE”

Comunicato stampa

titoli di ricerca e coltivazione in Molise già concessi

titoli di ricerca e coltivazione in Molise già concessi

Una delle tante istanze di ricerca ed estrazione nel mare antistante il Molise... e non solo

Una delle tante istanze di ricerca ed estrazione nel mare antistante il Molise… e non solo

 

Il ritrovamento di pochi giorni fa sulla spiaggia di Termoli di un barile di solvente tossico usato nelle estrazioni petrolifere riassume perfettamente la drammatica situazione nella quale si trova il nostro Molise, sotto l’attacco massiccio e diretto dei petrolieri, interessati ad una percentuale impressionante dei nostri territori e del nostro mare.

L’immagine di quel contenitore di liquido tossico a pochi passi dall’acqua del mare dovrebbe far aprire gli occhi a chi ancora non si è reso conto del pericolo gravissimo al quale sono esposti non solo il territorio, ma anche l’agricoltura, il turismo e la salute del Molise e dei suoi abitanti.

E tra coloro che ancora non hanno preso (o non vogliono prendere) consapevolezza di questa realtà dobbiamo purtroppo includere la Regione Molise, che nonostante le ripetute sollecitazioni dei numerosi comitati e associazioni mobilitati contro le trivellazioni, non ha ancora impugnato l’art. 38 della legge n°164/2014, sia l’emendamento allo stesso, contenuto nella “Legge di Stabilità” (cioè la parte relativa alle trivellazioni in terra e che di fatto espropria gli enti locali del potere di decidere in merito), come altre regioni italiane hanno invece fatto.

Denunciamo questo silenzio e questa inazione, che espongono tutti noi all’esproprio del nostro territorio per una manciata di soldi, assolutamente irrisoria di fronte al disastro dell’economia locale legata all’agricoltura di qualità, all’olio, al vino, alle bellezze paesaggistiche.

Chiediamo dunque ufficialmente al Consiglio Regionale di impegnare immediatamente la giunta ad impugnare il cosiddetto ‘sblocca-Italia’ (e sue modifiche), dando finalmente ascolto a tutte le iniziative che i cittadini hanno organizzato ed organizzeranno sul territorio per fermare le trivelle in terra e in mare. Gli amministratori di comuni, province e regione devono sostenere la difesa del territorio e della salute: quando l’attacco diventa globale, come in questo caso, non è più possibile demandare questo ruolo solo ad associazioni e comitati. Se tale presa di posizione non ci sarà gli eletti dovranno assumersi personalmente e politicamente le responsabilità della devastazione del territorio e della sua fragile economia.

I sottoscritti comitati e organizzazioni invitano quindi tutta la popolazione a informarsi e informare, partecipando e promuovendo i prossimi incontri pubblici e iniziative sullo Sblocca-Italia e sulle trivellazioni.

Comitato Acqua Bene Comune Termoli

R@p Molise (rete per l’autorganizzazione popolare)

Fondazione Lorenzo Milani ONLUS

Osservatorio Molisano sulla Legalità

Contatti: rapmolise@autistici.org

Facebook: No alle trivelle in Molise

Emergenza abitativa: Le case a Termoli ci sono… ma sono vuote!

Anche Gesù è nato in una grotta occupata

Anche Gesù è nato in una grotta occupata

Gli episodi di cronaca locale ci riportano di tanto in tanto alla dura realtà di famiglie che hanno perso o rischiano di perdere la casa. Sicuramente i casi di sfratti sono molti di più di quelli che leggiamo sui giornali. Sempre più persone negli ultimi anni hanno perso la propria fonte di reddito, perché licenziati, cassintegrati, o precari che nella situazione attuale diventano sempre più precari. Tra sfamare la propria famiglia e pagare affitto e bollette, non è difficile scegliere. Sappiamo (dai dati del Ministero dell’Interno) che nella provincia di Campobasso gli sfratti eseguiti nel 2013 sono stati 80, oltre il 14% per cento in più del 2012 (la maggior parte di questi per morosità). Possiamo supporre che molte di più sono le famiglie a rischio di perdere la casa, o che si sono in qualche modo già arrangiate in situazioni precarie (ospiti da amici, parenti, occupazioni abusive?).

Già oggi decine di persone, sia italiani che stranieri, ogni notte dormono alla meglio per strada, al parco, in stazione, saltuariamente ospitati dall’unica struttura di accoglienza presente in città, che comunque non permette di trascorrere più di tre settimane consecutive nel dormitorio, e quindi è al massimo un tampone più che una soluzione. Inoltre, fatto poco noto in città, la struttura resta formalmente aperta ma è quasi sempre vuota perché il Comune non versa se non con gravissimo ritardo le rette per le persone ospitate, e così l’ente gestore ha di fatto quasi sospeso il servizio.

Ma qual è il problema di Termoli? C’è veramente carenza di alloggi? Se parliamo di case popolari la risposta è sì. Le case popolari esistenti sono tutte abitate (e forse sarebbe da verificare se tutti rispondono davvero ai requisiti di reddito…), e mentre le liste d’attesa per le graduatorie si allungano sempre di più si assiste al paradosso che per alloggiare le famiglie in emergenza abitativa altre persone in condizioni di grave disagio sociale ed economico vengono sfrattate da un giorno all’altro senza che gli venga fornita alcuna soluzione alternativa. Il Comune, che dovrebbe farsi carico del problema, da una parte è schiacciato dalla cronica carenza di fondi che i tagli agli enti locali stanno aggravando, dall’altra sembra incapace di misure decise e coraggiose.

Eppure a Termoli di appartamenti vuoti ce ne sono eccome. Dai dati del censimento ISTAT del 2011 scopriamo (ma i dati sono accessibili a tutti, solo che scommettiamo che nessuno ve lo aveva detto prima) che a Termoli ci sono ben 181 edifici vuoti. Avete letto bene: ‘edifici’, non appartamenti.

Ma la cosa è abbastanza evidente a tutti noi. Vediamo tutti i giorni sotto i nostri occhi crescere enormi condomini in vecchie e nuove zone residenziali. Ma per chi saranno queste case? Le famiglie di Termoli, soprattutto quelle in difficoltà, non hanno la possibilità di comprare una casa. Il mercato immobiliare è fermo da anni, tanto che gli appartamenti di un noto costruttore termolese sono in vendita ormai a sconti impressionanti. L’attuale amministrazione (in continuità con la vecchia) sembra così affamata di cemento che sta anche per vendere ai privati due scuole praticamente centrali (l’ex-Nautico e la Schweitzer) che saranno buttate giù per costruire nuovi (altri!) appartamenti, che poi saranno messe in vendita a prezzi sicuramente inaccessibili ai più.

Non sappiamo qual’è il meccanismo economico-finanziario che permette a questi personaggi di continuare a costruire pur avendo una grossa parte di patrimonio invenduto, ma vorremmo che almeno l’amministrazione comunale ci spiegasse secondo quale logica vengono rilasciati nuovi permessi di edificazione che non rispondono in nessun modo alle esigenze abitative della popolazione. Non ci pare, d’altro canto, che sia stato preparato un qualche piano di politiche di sostegno alle famiglie in difficoltà che hanno perso o rischiano di perdere la casa, a parte gli strumenti ordinari, inadeguati oggi ad affrontare l’emergenza.

Se l’obiettivo fosse realmente combattere il disagio e l’emergenza abitativa le risposte dovrebbero essere altre. Negli anni ’50 il sindaco di Firenze Giorio La Pira (cattolico e democristiano, non certo un comunista), per fronteggiare l’emergenza abitativa, chiese ad alcuni proprietari immobiliari di affittare temporaneamente al Comune una serie di appartamenti vuoti. A seguito delle risposte negative, ordinò la requisizione degli immobili, motivata dall’urgenza della situazione. Non vorremmo si arrivasse a tanto, ma davvero in questa crisi per il Comune di Termoli valgono molto di più gli interessi di costruttori e proprietari che quelli degli emarginati e dei senza casa?

‘Universi Paralleli’

di Roberto De Lena

da l’anguilla n°4

Banksy_chasing death and profit

Banksy_chasing death and profit

Mea culpa: mi sono interessato solo di recente, e in maniera del tutto superficiale, alla teoria delle stringhe. A quanto pare, filosofi e fisici teorici del nostro tempo sono non da oggi persuasi del fatto che le quattro dimensioni che noi esseri umani riusciamo a percepire (alto-basso, avanti-dietro, destra-sinistra, tempo) siano solo una parte di quelle che compongono l’universo nel quale il nostro splendido e misero pianeta sta, mentre scrivo, navigando. Devo dire che la cosa mi ha scioccato non poco, così ho pensato di uscire di casa e non pensarci più. Il mio materialismo, se così si può dire, mi impedisce di dedicarmi per troppo tempo a questioni astratte ed illusorie e mi impone di restare ancorato alla realtà. Anche perché, nonostante abbiano messo a punto sistemi tecnologici molto avanguardistici e mastodontici, sparsi qua e là per il mondo, gli scienziati oggigiorno pare non siano ancora riusciti a trovare una giustificazione scientifica alla teoria matematica dell’esistenza degli universi paralleli. Così ho ripreso, dicevo, ad occuparmi di temi (che poi sono persone) molto più materiali, rispetto ai quali sono solito interessarmi. A leggere e studiare, per esempio, del tema del debito pubblico italiano.

Esso va aumentando in maniera allarmante e le politiche economiche messe in atto dai governi che si vanno succedendo (per volontà non-popolare) dallo scoppio della cosiddetta crisi stanno solo aggravando la situazione, come accanendosi contro un malato in fin di vita. È fin troppo chiaro, d’altronde: fino a che continueranno a chiedere prestiti agli istituti bancari privati e a prolungare le scadenze per il risarcimento degli stessi, gli interessi si alzeranno e si alzeranno, ed è impossibile che di questo passo si riesca a ridurre (addirittura al 60%, poi, è ridicolo) il rapporto tra debito pubblico e PIL, salvo voler attuare una vera e propria carneficina sociale. E ciò, nonostante ce lo chieda l’Europa. Perché il PIL non ha nessuna speranza di crescere, e di crescere significativamente non ne parliamo, se si continuano ad attuare le famigerate politiche di austerità, imposte dalla stessa Europa. Non dall’Europa della convivenza tra i popoli e della democrazia che vorremmo, ma da quella dei banchieri che hanno visto i propri interessi essere messi in salvo dal trasferimento forzato di ricchezze dalle casse degli stati a quelle delle loro banche. La più grande truffa della storia, qualcuno l’ha definita.

Così provo ad osservare da un’altra angolatura (non intendo certo evadere nelle stringhe e negli universi paralleli) ma le cose non vanno molto meglio. Ho guardato all’attuale governo: un governo giovane, di facce nuove (talmente nuove che pensano che essere eletti dal popolo, per governare, sia una prassi stantia) che sta varando riforme strutturali a ritmi forsennati e vele spiegate. Lo “sblocca-Italia”, ad esempio, che permetterà di fare di quella parte di territorio (poca, per la verità) ancora rimasta immune dalla folle furia dei palazzinari, un enorme campo minato di perforazioni e trivellazioni per l’estrazione di gas e petrolio utili a far ingrandire le tasche delle multinazionali, di traforazioni di monti e di valli necessarie per spianare la via alle grandi, e di interesse strategico nazionale, opere. E poi la spending review, che esorta gli enti locali a privatizzare i beni comuni, acqua in primis. E ancora la sanità, e le pensioni, e l’istruzione. Si attende, ormai come una minaccia, pure la riforma del terzo settore, dopo quella della cooperazione internazionale.

Per non parlare della riforma del lavoro: viene depotenziato, ci viene detto (in pratica smantellato del tutto) in un solo colpo di fiducia, l’articolo 18, una delle più grandi conquiste dello statuto dei lavoratori. La precarietà diventa la conditio sine qua non che regolerà i futuri rapporti di lavoro; la disciplina di fabbrica più dura e la libertà dei lavoratori di organizzarsi seriamente compromessa. O ancora: il piano casa. Mentre sempre più persone stentano a far fronte alle spese di ogni giorno, tra cui quelle relative al mantenimento di una abitazione, viene imposto di staccare l’allaccio delle utenze a quanti occupano “abusivamente” (agendo così su un bisogno fondamentale, quello ad una vita dignitosa) e viene loro negato, nel contempo, il diritto ad avere accesso all’iscrizione al registro della popolazione residente del comune nel quale si sta vivendo.

Guardo ancora da un’altra parte: alle politiche relative alle dinamiche migratorie contemporanee. Non parliamo certo di fenomeni dell’ultimo anno, e neppure di due anni fa, ma che interessano i territori italiani oramai da oltre un ventennio. Eppure le politiche prevalenti messe in atto per la gestione del fenomeno continuano ad essere quelle emergenziali, che favoriscono solo gli appaltatori più furbi e contribuiscono ad inasprire il clima di tensione sociale, di guerra tra poveri, che già si respira in molti luoghi d’Italia, e che nelle periferie romane è già squallidamente esploso. Per di più il nostro paese abbandona l’operazione Mare Nostrum, un’iniziativa certo limitata, tardiva, criticabile e parziale, ma che ha permesso nello scorso anno di mettere in salvo migliaia di vite umane.

Deve esserci un filo, penso, che lega tutte queste (e molte altre) scelte politiche, un filo che non sono sicuro di voler vedere dipanato in tutta la sua chiarezza. Temo, infatti, che potrei scoprire, dipanandolo, che quelli che stanno in alto, coloro, i pochi, che ancora hanno il potere di scegliere e di incidere, abbiano deciso di sferrare un attacco deciso, e forse decisivo, all’esistenza e alla dignità di milioni di uomini e donne. Credo che potrei scoprire che siamo nel mezzo di una guerra (la quarta mondiale?) condotta dai ricchi e dai potenti della terra contro i poveri e i dannati della storia. Credo che potrei, insomma e mio malgrado, provare con fatti e dati alla mano, e molto prima dei cari studiosi del Cern di Ginevra, l’esistenza di due mondi paralleli, che confliggono pericolosamente tra loro. Non resta che aggrapparci alla speranza di un altro big-bang, magari generatore di una nuova, e più matura, vita in comune.