L’estate è da poco finita. Per molti, da un punto di vista economico, il bilancio è stato in negativo. Noi abbiamo scelto di guardare con una mini-inchiesta al turismo dal punto di vista dell’ultimo anello della catena del settore. In una regione in cui la disoccupazione giovanile è al 44% il lavoro stagionale è un’opportunità per tanti, ma anche un settore che nasconde sfruttamento e precarietà. Ma anziché organizzarsi per ottenere condizioni migliori, spesso si afferma la guerra tra poveri.
da l’anguilla di settembre (scaricalo gratis qui)
Si sa, la crisi è dura, e il clima di questa estate di certo non ha aiutato a risollevare le sorti dell’economia bassomolisana legata al turismo estivo. Ma anche la crisi non è uguale per tutti, e se balneatori, ristoratori e albergatori lamentano per questa stagione un calo di profitti, è andata ancora peggio ai tanti ragazzi e ragazze impiegate nel settore come camerieri/e, lavapiatti, barman, aiuto-cuoco, ecc. Come tanti altri giovani e meno giovani bassomolisani, anche per me ogni anno la stagione estiva è il momento atteso per trovare un lavoretto di almeno due mesi. Per tanti il lavoro stagionale sulla costa significa un’entrata utile a guadagnarsi un po’ di indipendenza economica dalla famiglia, e mettere qualche soldo da parte per realizzare un piccolo sogno. Per alcuni è un modo per potersi garantire di proseguire gli studi, mantenersi in affitto. Per altri è una necessità ‘vitale’, perché magari è l’unico lavoro possibile in una regione in cui secondo gli ultimi dati i poveri sono ormai il 10% e tra i giovani la disoccupazione è al 43,8%. In questo senso si direbbe che è una fortuna vivere in una zona turistica: altri lavori stagionali (come in agricoltura) sono probabilmente molto più faticosi e peggio pagati. Ma anche il lavoro nell’industria turistica (bar, ristoranti, alberghi, lidi balneari) nasconde una vasta galassia di sfruttamento, paghe misere, orari estenuanti e assenza di diritti. È giusto premettere che non tutti i datori di lavoro sono uguali, e che in alcuni contesti l’ambiente lavorativo è umano e cordiale, e i rapporti e il trattamento del lavoratore sono rispettosi della sua dignità. Ma questa, che dovrebbe essere la norma, si rivela essere purtroppo un’eccezione. E resta comunque il fatto che la parte debole è e rimane il lavoratore, che spesso purtroppo non sa di avere molti diritti, o rinuncia a rivendicarli. Prendiamo il lavoro da cameriere). Inutile dire che la stragrande maggioranza dei camerieri lavora in nero: i controlli sono quasi assenti e comunque ogni cameriere è ben addestrato a rispondere alle domande degli ispettori per evitare multe ai datori di lavoro. Il lavoro in nero significa assenza totale di tutele: non esiste malattia, giorno libero, o gravidanza che tenga. Un’altra opzione per i padroni è quella di assumere regolarmente il lavoratore o la lavoratrice, ma poi comportarsi come se quel contratto non esistesse. Spesso si viene assunti per un orario nettamente inferiore a quello effettivo, o con un contratto di apprendistato: se sul contratto si parla di quattro ore al giorno, normalmente per un ristorante, bar, o locale il lavoro va dalle cinque, le sei di pomeriggio alle tre o anche le quattro di notte (in media dieci ore, ma a volte anche di più). In questo modo una parte dello stipendio viene pagato ‘fuori busta’: uno stratagemma apparentemente innocuo, ma di fatto lo scherzetto costa caro al lavoratore, che percepisce molti meno contributi di quelli a cui avrebbe diritto. Inoltre il lavoratore ha diritto ad una maggiorazione del 25% per cento per il lavoro nelle ore notturne (spesso una parte consistente del lavoro estivo). Da contratto nazionale (per cameriere di quinto livello), il totale di lavoro non dovrebbe superare le 40 ore settimanali. Le ore lavorate in più vanno considerate straordinari, non devono comunque mai superare le 48 ore settimanali, e devono essere pagate con una maggiorazione del 30% se svolte in orario diurno, o del 60% se svolte in orario notturno. Considerando anche che per lo più il giorno di riposo non esiste, parliamo di una media di 70 ore a settimana, ben più degli straordinari permessi per legge. Lavorando in nero a Termoli (in un ristorante, bar, pub, lido), le paghe migliori si aggirano sui trentacinque euro al giorno, il che significa mediamente 3,50 euro all’ora, senza contribuzione (ma i peggiori sono fermi ai 20-25 euro, cioè a meno di tre euro/ora). Insomma, a conti fatti, si lavora tra le dieci e le venti ore in più a settimana, e si guadagna 100-200 euro in meno al mese di straordinari e ore notturne non pagati regolarmente. E guai a lamentarti o rivendicare orari più umani, giorno di riposo, e una paga decente: lavorare in nero significa anche essere sotto ricatto: ogni giorno il padrone può dirti “Da domani non venire più”, e con la fame di lavoro che c’è in giro, per uno che rinuncia ce ne sono altri dieci in fila dietro alla porta pronti ad accettare condizioni di lavoro peggiori. È la guerra tra poveri, che è evidente soprattutto quando si tratta di stranieri, disposti spesso ad accettare orari più pesanti e paghe inferiori, soprattutto nelle mansioni più umili e meno qualificate. Difficile pensare di organizzarsi tra lavoratori e lottare insieme per condizioni migliori. Poche le vertenze legali, mai esistite azioni di protesta collettiva. Nel lavoro stagionale di per sé il legame tra lavoratori non sempre riesce a consolidarsi. In più, si tratta sempre di piccole e medie aziende con pochi dipendenti. Spesso, per gli stessi lavoratori si tratta di una condizione che si è disposti a sopportare: non vale la pena ‘fare questioni’ per un lavoro che comunque presto finirà. Anzi, per chi si lamenta o protesta, oltre al rischio immediato di perdere il lavoro, c’è anche il fatto che poi potrebbe diventare difficile trovare lavoro anche in altre attività simili: si sa, il paese è piccolo, e la gente mormora. Il primo impulso a reagire deve venire da chi vive queste situazioni, ma sarebbe bene predisporre uno sportello per i lavoratori e le lavoratrici stagionali dove si possa rivolgere chi vuole conoscere i propri diritti, avere informazioni su contratto, salari, richieste di disoccupazione, vertenze sindacali, ecc. Un’esperienza di sportello attivata in riviera romagnola ha portato alla luce gravi episodi di abusi e sfruttamento, e persino di violenze fisiche e psicologiche subite in lidi balneari, alberghi e cucine di ristoranti. In mancanza di interventi istituzionali mirati a capire e affrontare il problema, è compito nostro (di associazioni, sindacati, movimenti, comunità territoriali) offrire un supporto e un punto di riferimento a chi vuole capire come muoversi nel mondo dei lavori stagionali e, tra le ombre della movida estiva, accendere le luci dei diritti e della dignità.
di Francesco DL *collettivo i mazzemarille
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