da l’anguilla n. 4, a cura del collettivo i mazzemarille
Da poco a Termoli ha aperto un centro di accoglienza per richiedenti asilo. Lo diciamo subito, ci spaventa e rattrista l’esplosione di intolleranza dei termolesi di fronte a questo evento. La colpa, dicono in tanti, è tutta degli immigrati, che, in sintesi, “rubano lavoro, prendono 35 euro al giorno, e poi diventano criminali”. Niente di più falso e approssimativo. Ma, davvero, sappiamo di cosa stiamo parlando?!?
Quasi sempre, sappiamo poco o niente dei paesi di provenienza dei nuovi arrivati: storie, culture, – non sappiamo neanche dove sono sulla mappa – eppure pretendiamo spesso di parlarne e giudicarli tutti in blocco. Oltretutto, queste storie ci riguardano spesso da vicino: in molti casi c’è proprio l’Occidente (cioè i nostri governi, le nostre multinazionali, i nostri antenati, molto spesso noi stessi) dietro i saccheggi, le devastazioni ambientali, le guerre, le dittature di tante parti del mondo. Ma preferiamo non guardare, non sapere, non capire. Non ci interessa dell’Ebola, finché resta in Africa. Della Siria non ci siamo interessati quando il popolo si ribellava contro il dittatore e veniva massacrato per le strade a colpi di mortaio. Restano per noi mondi sconosciuti – fatti di immagini e stereotipi che al massimo ogni tanto ci fanno commuovere e donare qualche euro in beneficenza.
Certo, non dobbiamo tutti diventare esperti di questioni di politica africana o mediorientale (anche se non ci farebbe per niente male) ma capire la complessità che c’è dietro le migrazioni ci eviterebbe perlomeno di essere superficiali e dire stupidaggini pericolose.
Per troppo tempo abbiamo pensato di poterci rinchiudere nel benessere del nostro occidente e lasciare fuori tutto il resto. Ma il mondo bussa alle nostre porte e chiede il conto. Gli assetti geopolitici saltano e si rimescolano in continuazione. Ma i giochi di potere lasciano sempre vittime tra chi sta in basso, e tanti cercano il loro riscatto e la loro dignità rischiando tutto in viaggi spesso durissimi, venendo a chiederci soltanto il diritto di vivere in pace e dignitosamente. In questo tempo di crisi in cui anche molti italiani vivono la povertà, la precarietà, l’emigrazione, è nostro compito riconoscere chi sono i veri ‘nemici’ (quelli che stanno in alto), e chi invece arriva da noi vittima di quello stesso sistema che oggi affama tanti anche in Europa.
E poi, oltre alle grandi storie di nazioni, confini, guerre, persecuzioni, esiste la miriade di storie personali di chi arriva qui. Se non siamo obbligati a conoscere la storia dei cinquanta e più paesi africani siamo invece ‘obbligati’ ad uno sforzo per avvicinarci e conoscere i nuovi arrivati – per integrarci con loro (e non per ‘integrarli’). Dovremmo innanzitutto coglierla come una grande occasione di incontro. Lanciarci, rispolverare quel po’ di inglese e francese che sappiamo (e sennò basta anche qualche sorriso per iniziare) – consapevoli che l’incontro non è facile, non è qualche pacca sulle spalle e un paio di scarpe regalate. È tempo, fatica. Il tempo della scoperta. La fatica delle differenze e diffidenze reciproche. Ma va fatto. Il mondo va in quella direzione.
E non saranno le varie leggi Bossi-Fini, o le urla dei fascio-leghisti alla Salvini a fermare la Storia del Mondo, che è fatta da sempre di movimenti di massa degli esseri umani. Oggi la crisi economica e l’arrivo dei migranti ci ricordano che siamo parte di un unico mondo e, come il denaro che viaggia alla velocità della luce nei circuiti virtuali dei mercati finanziari, così anche gli esseri umani oggi pretendono di poter attraversare liberamente le frontiere. Non ci chiedono niente – solo di non sbarrargli in faccia quelle porte. Perché tanto, anche se noi lo facessimo, loro continuerebbero ad oltrepassarle, ma ad un costo umano altissimo, insopportabile per noi che ci definiamo ‘civili’.
Oggi queste persone sono qui. Spesso guardati con disprezzo, sospetto e paura da molti nelle nostre città. E di certo il modello di accoglienza non aiuta. Anziché predisporre un piano serio per affrontare il fenomeno (siamo un paese di frontiera) si continua a gestire tutto come un’emergenza: è così che l’accoglienza diventa un business, e invece di aiutare queste persone a vivere dignitosamente e costruirsi un presente e un futuro, li lasciamo spesso in un limbo burocratico a tempo indeterminato, dal quale usciranno spesso disorientati, senza relazioni sociali con le comunità locali e senza nuove prospettiva di vita rispetto a quando sono arrivati. È perciò che (come tanti altri termolesi, per fortuna) abbiamo deciso di andarli a conoscere personalmente. È così che abbiamo avviato un corso di italiano per stranieri, ogni martedì pomeriggio presso lo spazio sociale di via XXIV Maggio 51. Spazi e momenti per uscire dalla routine quotidiana e fare amicizie imparando a conoscersi reciprocamente. E così adesso quando a volte ci capita di incontrare in giro qualcuno di loro, ci salutiamo e scambiamo due chiacchiere, un po’ in italiano, un po’ in inglese, o con un francese un po’ stentato. Cercando di farli sentire il più possibile accolti, di casa. Ed è in quei momenti che anche a noi Termoli inizia a sembrare un po’ meno respingente, spaventata, e spaventosa.
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