Roberto De Lena ci spiega in breve che cos’è il TTIP: il trattato segretissimo tra Unione Europea e Stati Uniti che svenderà alle multinazionali l’ambiente, i diritti sociali, e in definitiva le nostre vite.
Da l’anguilla di luglio-agosto.
Mi continua a venire in mente un’immagine da incubo ispirata da Edgar Allan Poe. Siamo tutti in una stanza con quattro pareti, un pavimento e un soffitto. Non ci sono finestre, né porte. La stanza è ammobiliata e qualcuno di noi sta seduto comodamente, altri no. I muri stanno gradualmente avanzando verso l’interno, a volte più lenti, a volte più veloci. Ci fanno sentire scomodi, vengono avanti di continuo, minacciano di schiacciarci a morte.1
È la stessa immagine che è tornata in mente a me dopo che, su invito del Bene Comune, ho provato ad approfondire la questione del TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partnership), il trattato di libero scambio e investimento tra USA e UE che dovrebbe entrare in vigore dal 2015.
Scrivo da una posizione relativamente comoda, ma seduto su di una sedia che traballa sempre più. Sento che le mura e le pareti della stanza potrebbero soffocarmi e, con difficoltà, provo a pensare come uscirne. Non è semplice, tutt’altro. Avverto con precisione, però, che se il Partenariato Transatlantico per il Commercio e gli Investimenti dovesse andare in porto saremmo di fronte ad una di quelle svolte epocali, di quei passaggi storici fondamentali, in cui le mura della stanza avanzano più veloci.
Il TTIP è un accordo nel suo impianto strutturale somigliante all’accordo trilaterale stipulato nel 1994 tra Canada, Stati Uniti e Messico (il NAFTA, l’accordo di libero scambio nordamericano). È un accordo nei suoi principi ispiratori lassista e classista nel medesimo tempo; d’altronde “nessun accordo bilaterale con qualsiasi paese industrializzato ha mai generato un aumento degli investimenti americani”2. Lo stesso NAFTA, “secondo uno studio dell’Economy Policy Institute sui primi 12 anni di concordato, ha provocato una perdita netta di oltre un milione di posti di lavoro e un notevole calo del potere d’acquisto dei salari per milioni di lavoratori”3.
Questa la realtà, verosimilmente anche per ciò che riguarda l’accordo in questione, al di là degli elogi che sentiremo propinarci dai media irregimentati di turno circa le magnifiche e progressive sorti che il TTIP potrebbe schiudere per milioni di donne e uomini europei e statunitensi.
Il trattato è strutturato lungo tre linee direttrici: 1) deregolamentare, cioè adeguare al ribasso i mercati statunitense ed europeo, mantenendo come standard sociali, ambientali, di diritto del lavoro quelli che garantiscono alle imprese transnazionali vincoli il meno stringenti possibile; 2) liberalizzare, cioè aprire alle imprese transnazionali private il mercato di servizi ancora prerogativa (almeno in parte) del pubblico: sanità, istruzione, acqua, ad esempio; 3) minacciare, cioè consentire, tramite la disposizione ISDS (Investor-State Dispute Settlement), alle imprese transnazionali di citare in giudizio gli stessi stati nazionali, qualora questi ultimi adottassero una legislazione che potrebbe nuocere al profitto delle imprese medesime.
Vediamo più nel dettaglio, brevemente, alcune conseguenze dell’accordo a partire dai tre punti sopra evidenziati.
1) Gli Stati Uniti adottano una legislazione molto più lassista dell’Unione Europea per quel che concerne l’utilizzo di OGM, pesticidi, ormoni per la crescita degli animali, etc. Basti pensare che “circa il 70% di tutti gli alimenti trasformati venduti nei supermercati statunitensi contengono attualmente ingredienti geneticamente modificati. Per contro, a causa di una notevole resistenza popolare, praticamente nessun prodotto alimentare GM viene venduto nei supermercati europei …”4. Se il TTIP dovesse divenire realtà, anche in Europa sarebbe consentito l’uso e la commercializzazione di OGM. Lo stesso ragionamento valga per il tema del lavoro e dei diritti sindacali dei lavoratori, molto meno tutelati negli Stati Uniti che in Europa; sia ribadito, per di più e a tal proposito, che in genere gli accordi di libero scambio determinano una perdita netta di posti di lavoro. Gli States, inoltre, adottano una legislazione molto più tollerante pure per quel che concerne la possibilità da parte delle industrie di disperdere sostanze chimiche nell’ambiente, senza contare che, ad accordo siglato, aumenterebbe a dismisura la produzione, il consumo e il traffico di merci. Inoltre, “il TTIP aprirebbe le porte a esportazioni in massa di gas scisto americano verso l’Europa. Ciò porterebbe ad un aumento delle estrazioni per fratturazione idraulica (fracking) negli Stati Uniti e, allo stesso tempo, consentirebbe alle compagnie statunitensi di sfidare i divieti di fracking in Europa …”5. Dal canto suo, la commissione europea tramite il TTIP starebbe cercando di indebolire le regolamentazioni dei mercati finanziari introdotte dal governo Obama a seguito della crisi del 2008. Insomma: si svendono diritti in cambio di una maggiore libertà di speculare finanziariamente.
2) Le liberalizzazioni previste dall’accordo consentiranno alle imprese transnazionali private di avere accesso al mercato di servizi pubblici come sanità, istruzione, fornitura idrica. Quest’ultimo punto in particolare rappresenta un attacco frontale e diretto ai percorsi intrapresi da molteplici città europee di ripubblicizzazione dei servizi idrici integrati ed un misconoscimento offensivo e violento nei confronti della volontà popolare espressa, ad esempio in Italia, nei referendum del 12 e 13 Giugno del 2011. Inoltre, “la commissione europea e il governo americano intendono entrambi servirsi del TTIP per aprire gli appalti pubblici al settore privato. Ciò significa che non saranno più consentite le svariate politiche d’appalto di governi locali a sostegno di importanti obiettivi sociali e ambientali”6.
3) La terza novità che il TTIP introdurrebbe è l’aspetto più radicale del trattato, che al contempo ne palesa il volto vero e profondo. Si sta parlando della disposizione ISDS (Investor-State Dispute Settlement), una disposizione per la risoluzione delle controversie tra Stato e imprenditori. In pratica, “verrebbe concesso alle imprese americane ed europee il potere di impugnare le decisioni democratiche prese da governi sovrani, e di chiedere risarcimenti nei casi in cui quelle decisioni abbiano effetti negativi sui propri profitti”7. La ISDS è stata adottata in diversi trattati d’investimento bilaterali o in altri accordi bilaterali. Negli ultimi dieci anni, il ricorso a tale strumento è aumentato esponenzialmente, fatto questo che dovrebbe destare preoccupazioni non superficiali. Un caso su tutti può essere citato, per comprendere di cosa si tratta: “il gigante americano del tabacco Philip Morris sta facendo causa per migliaia di miliardi di dollari al governo australiano per via della sua politica di sanità pubblica che impone la vendita di sigarette solo in pacchetti senza scritte. La Philip Morris ha citato in giudizio anche l’Uruguay a causa delle misure da questo adottate nella lotta contro il fumo. Queste impongono che le avvertenze per la salute coprano l’80% di tutti gli imballaggi per sigarette”8.
In definitiva, per concludere e racchiudere in poche parole il senso e la portata di tale trattato (del quale, peraltro, si discute in segretissime stanze) si può esplicitare quanto segue: “per la precisione, il TTIP dev’essere inteso non come una negoziazione tra due partner commerciali concorrenti tra loro, bensì come un attacco alle società europea e statunitense, sferzato dalle società transnazionali desiderose di abbattere le barriere normative che ostacolano le loro attività da un lato e dall’altro dell’Atlantico”9.
Un attacco alle democrazie e alle costituzioni europee (che nel Maggio del 2013 JP Morgan definiva “troppo antifasciste”10), peraltro già abbondantemente attraversate da un deficit di rappresentatività; un attacco ulteriore e decisivo, dentro l’ inarrestabile spirale della crisi, alle vite, al lavoro, alla dignità di milioni di donne e uomini statunitensi ed europei.
1Holloway J., Crack Capitalism. DeriveAPPRODI, Maggio 2012, p.14
2Hilary J., Il Partenariato Transatlantico per il Commercio e gli Investimenti. Rosa Luxemburg Stiftung, Marzo 2014 (il documento è scaricabile da http://rosalux-europa.info/userfiles/file/TTIP_IT1.pdf)
3Ibi p.16
4Ibi p.19
5Ibi p.23
6Ibi p.27
7Ibi p.30
8Ibi p.31-32
9Ibi p.8
10Si veda, tra gli altri: http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/06/19/ricetta-jp-morgan-per-uneuropa-integrata-liberarsi-delle-costituzioni-antifasciste/630787/
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