Una anticipazione dal numero di giugno del giornalino “l’anguilla” (scaricalo qui: http://imazzemarille.noblogs.org/languilla-numero-1-giugno/):
di Roberto De Lena*
La privatizzazione dei beni comuni è solo un’altra parte di quella guerra (di classe) ‘dall’alto’ che in passato ha attaccato i diritti dei lavoratori e le politiche di welfare. A Termoli, nonostante la vittoria ai referendum e un voto del consiglio comunale, rischiamo che a fine giugno l’acqua torni in di nuovo in mano ai privati
È trascorso circa un anno da quando, il 26 Giugno scorso, l’allora consiglio comunale della ormai ex amministrazione Di Brino votava all’unanimità a favore della ripubblicizzazione del servizio idrico integrato nella nostra cittadina. Quale momento più azzeccato per dire che, da quella data, ne è passata di acqua sotto i ponti. Ma quell’acqua rischia, a tutt’oggi, di rimanere in mano ai privati, nonostante il parere espresso all’unanimità dall’allora consiglio e, fatto più degno di nota e dirimente, nonostante la volontà inequivocabilmente manifestatasi anche nel nostro comune in occasione dei referendum nazionali del 12 e 13 Giugno del 2011. Referendum attraverso i quali i cittadini italiani hanno deciso che l’acqua deve essere riconosciuta per il suo valore, non economico, di bene comune; che il profitto privato deve restare fuori dalla sua gestione.
Ma quella volontà è stata clamorosamente ed offensivamente disattesa, nonostante le dichiarazioni d’intenti di politici nostrani e nazionali, ormai definitivamente convertitisi, in toto, alla parabola del privato è bello, a prescindere da tutto e senza possibilità di dissenso. In questo scenario, peraltro, Termoli non rappresenta certo un caso isolato: diversi sono i comuni che non hanno voluto né saputo procedere con i passaggi necessari per la risocializzazione del bene. Non è un caso, infatti, che lo scorso 17 Maggio decine di migliaia di persone abbiano affollato le strade di Roma, in un corteo vivace e determinato (vedi pag. 8), che reclamava la tutela e la salvaguardia, la cura e l’ampliamento della sfera dei beni comuni, la cui espropriazione è, nello stesso tempo, la causa e la cura che, paradossalmente, ci viene quotidianamente propinata per uscire dalla crisi.
Pur non volendolo vedere, infatti, resta il fatto che la crisi che i poteri vorrebbero descriverci al pari di un evento naturale, malauguratamente calamitato sulle nostre teste, sia il frutto, in realtà, proprio delle politiche di privatizzazione messe in atto su scala planetaria all’incirca, nel nostro continente, dalla fine degli anni ’70, quando, superata la stagione dei diritti conquistati con le lotte, la signorina Thatcher, prima fra gli altri, andava ripetendo che la società non esiste, ma esistono solo gli individui e che non c’è alternativa al mercato (neo)liberista. All’interno di questo sguardo lungo sul passato, un passato che asfissia e impregna di sé in modo così opprimente anche l’oggi, le privatizzazioni dei beni comuni (acqua in primis, ma anche terre, sole, vento, mare) appaiono come uno stadio ulteriore di quella lotta di classe condotta dall’alto, dal padronato e dalle forze della conservazione, contro i diritti dei lavoratori, contro le pensioni, contro la sanità pubblica, contro i diritti sociali: in una parola, contro le politiche di welfare faticosamente conquistate in decenni di battaglie e dunque contro le vite di miliardi di esseri umani e, più in generale, viventi.
La nuova fase di accumulazione privata delle ricchezze socialmente prodotte necessita di estrapolare profitto dalla vita quotidiana delle persone, dai loro stessi corpi: cos’altro vuol dire, in fondo, privatizzare l’acqua, elemento vitale per ognuno di noi e dal quale siamo composti all’incirca al 90 per cento? È necessario e urgente, dunque, condurre una battaglia non più solo culturale contro un modello che sta dimostrando la sua strutturale insostenibilità. Comprendere certo che chi ha l’interesse a mantenere oscillante sulle nostre teste la spada di Damocle del debito pubblico, agitato come spauracchio intimidatorio, sono le stesse oligarchie che detengono larga parte delle ricchezze e del potere su scala planetaria; ma è altrettanto necessario e urgente dimostrare che esistono e sono praticabili alternative politiche, progettualità concrete per un altro esistente.
È quanto, con fatica, il comitato locale per l’acqua bene comune era riuscito ad avviare con l’apertura di un tavolo tecnico tra comune (amministratori e tecnici) ed esperti nazionali. Le proposte erano, fin dal Settembre 2013, già state discusse ed avviata una tabella di marcia operativa per stabilire i passaggi, molto delicati, da compiere per arrivare alla ripubblicizzazione dell’acqua a Termoli (dopo venti anni di gestione privata!). Nel frattempo, ed in via del tutto straordinaria, concessa una proroga alla ditta privata che gestisce il bene comune acqua a Termoli, che scadrà il 30 Giugno 2014. Ma quel tavolo è stato fatto saltare dagli allora amministratori ed il percorso iniziato non più riabilitato.
Ora manca meno di un mese alla scadenza della suddetta proroga e chi si candida ad amministrare per i prossimi anni la nostra cittadina potrebbe, molto verosimilmente, non essere intenzionato a dare attuazione alla volontà referendaria del 2011 e a quella comunale del 2013. Il comitato certamente tornerà a farsi sentire sul tema, proponendo tutte le iniziative necessarie per rivendicare il diritto a godere, fuori dal mercato del profitto, di un bene di tutti. Ed il resto della cittadinanza locale dove si collocherà? Dalla parte delle multinazionali e della delega in bianco ai politici (come sembra ipotizzabile leggendo i risultati delle ultime elezioni amministrative) oppure per le strade e nelle piazze a difendere i beni comuni? Non è solo una questione di opinioni, ma sono le scelte di campo come questa che determinano il futuro della vita e della convivenza civile di un paese, delle sue fondamenta democratiche, intese come processi collettivi di discussione, di azione, di vita.
Quella per l’acqua bene comune è, allora, davvero una battaglia di civiltà. Non sarà pleonastico, dunque, ripeterlo ancora una volta e a voce alta: si scrive acqua, si legge democrazia!
*Comitato Acqua Bene Comune Termoli
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