[da l’anguilla numero 0 Aprile 2014; scaricalo qui: http://imazzemarille.noblogs.org/languilla/]
La vittoria di comitati, associazioni, movimenti, persone comuni che si sono opposte al mega-progetto di Granarolo nel Bassomolise è una vittoria per tutto il territorio, e un punto da cui ripartire per affrontare tutte le altre vecchie e nuove minacce all’ambiente e alla nostra salute
di Michele Mattia Monachetti
Ci sono certe occasioni in cui le cose hanno una forza invincibile. Una di queste occasioni è stata la campagna “No stalla, Si Molise Bene Comune”. Tutto questo è avvenuto, come un regalo di natale, da Larino a Termoli, a San Martino, a Ururi (o Aurora) in reazione ad un progetto, Gran Manze, della Granarolo, il quale prevedeva una stalla da un chilometro quadro in un intorno di cento ettari di terra che nella sua fase finale fu individuata in quel di Ururi, a “Saccione”, terre formalmente di proprietà del comune di San Martino in Pensilis. Un appesantimento infrastrutturale notevole, un affare da 18 milioni di euro di cui l’azienda emiliana avrebbe garantito, costituendosi in s.r.l, soli mille. Tre cooperative pugliesi e un’ Intesa San Paolo che avrebbe partecipato con una quota del 25%. Il solito caso di parassitismo industriale. Un Progetto dicevo, altamente sperimentale, dodicimila manze da portare in gravidanza per poi spedirle via autostrada in Emilia Romagna dove avrebbero prodotto latte. Per assistere queste povere bestie (di cui tralascerò, e mi scuso, la tematica dei diritti dell’animale per ragioni di sintesi, anche se meriterebbe un libro, più che un articolo) avremmo dovuto consumare settecento mila metri cubi al giorno d’acqua più un ulteriore consumo dovuto alla coltivazione di foraggi per un totale di due milioni e mezzo di metri cubi, pari al consumo del 10% della popolazione molisana. In sostanza, un’operazione volta alla esternalizzazione dei costi d’impresa, aumentandone così la capacità produttiva e l’abbassamento contestuale del prezzo del prodotto, in previsione dell’eliminazione delle cd. quote Latte deciso per il 2015. Di qui l’impossibilità dei nostri produttori di reggerne la concorrenza così come essa andava configurandosi. Ed invero tre pareri contrari furono dati dai tecnici della Regione, seguiti da una quanto mai burlesca e improbabile decisione in senso affermativo del suo dirigente.
Una follia ragionata dunque, senza tener conto del contesto nel quale andava ad innestarsi. Gli abitanti, e il Molise non ne avrebbero guadagnato nulla e in cambio, oltre ai possibili rischi sanitari dovuti agli allevamenti intensivi, il rilascio di nitrati nel suolo (motivo per cui Puglia ed Emilia Romagna bocciarono il progetto), scarichi di letame e urine con contestuale produzione di azoto, antibiotici: ancora; malattie all’apparato respiratorio e cardiovascolare, stress idrico (in una regione già alquanto provata), consumo di territorio e relativa cementificazione (sito di compostaggio, sito di stoccaggio), traffico stradale (5010 camion avrebbero fatto avanti e indietro solo per il trasporto degli animali) in una Regione inadempiente nei confronti del Governo circa la fornitura di dati al Ministero all’Ambiente a fini di zonizzazione e relativa mappatura delle aree inquinate, nonché indagini epistemologiche che disegnano un quadro allarmante per quanto riguarda l’inquinamento e le patologie del bambino e dell’anziano, nelle zone di Termoli e Campomarino: tutto questo è stato chiamato a Napoli il 16 Novembre, “Biocidio”. Ma il Molise mai ha dimostrato di essere più ricco, di diversità e di coscienze. Il rifiuto di un modello che non funziona e la constatazione che proiettato nel futuro esso è in grado di distruggere più che creare possibilità, ha dato di fatto origine ad un nuovo paradigma che vede l’uomo, la comunità e il territorio come soggettività pluralistiche ed interdipendenti unite nella difesa dei beni comuni. La manifestazione dell’esigenza di Nuovi Modelli che integrino risorse locali, valorizzazione, conoscenza e consapevolezza (e mai più sfruttamento…). La contestazione è sfociata in proposta, non una ma 100 stalle, nell’alto Molise, con produzione ecocompatibile in un circuito biologico volto a creare vero lavoro…non accolta. Le questioni aperte dalla reazione Basso-Molisana sono: a)La questione di metodo (chi decide, come decide e con che criteri, perché non gli abitanti?!) b) Il ruolo dei comuni (non più soggetti passivi, e non più il sindaco come anello terminale di una catena verticistica, figura di contenimento, ma come abitante e nell’interesse della comunità.) c) L’espressione delle comunità locali (gli abitanti hanno il diritto di decidere ed il dovere di difendere la propria terra: l’utilità delle assemblee organizzate ad Ururi, Larino e Termoli dove le persone si sono incontrate e mischiate tra loro decidendo insieme, coordinandosi poi per premere sulle istituzioni ai Consigli Comunali Monotematici, dimostrando in fatto le possibilità della Democrazia Partecipata ed il superamento del concetto di democrazia diretta, finalmente!). d) L’esigenza di collegare il paese al comune urbano (la campagna alla città, l’agricoltura al mercato, sempre nell’ottica dell’interdipendenza che, in questo caso, è anche funzionale). Certo qualcosa di nuovo c’è stato, ma sempre di un ritorno si tratta, quello dell’umanità, che si riappropria della sua storia fino al punto di riscriverla. Un altro Molise. Un ritorno alla vita. Una primavera e un’Aurora, non soltanto albanese.
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