di Francesco De Lellis
Fonte: Il Bene Comune
Otto anni passati a studiare il mondo arabo, la lingua, i dialetti, le religioni (ebbene sì, non ce n’è solo una di religione), la storia politica ed economica, e non mi permetterei mai di esprimere giudizi così netti sull’Islam (l’accento è sulla ‘a’) o ‘gli islamici’ come quelli che in questi giorni ho intravisto sulla stampa, dagli opinionisti di facebook, o ascoltato in televisione. Sedicenti ‘esperti’ danno prova delle loro doti in tuttologia lanciandosi nelle peggiori lezioni di razzismo e islamofobia dall’11 settembre in poi. Tutti, nessuno escluso, interpretano i fatti di Parigi come un attacco al cuore dell’Occidente, il che presuppone, in maniera più o meno esplicita, un ‘Oriente’ da qualche parte che ce l’ha a morte con ‘noi’ e che ci vuole annientare. Da qui l’urgenza di dire due cosette. Non sull’Islam, sul terrorismo (non ne sarei all’altezza), o sulla libertà di espressione (che è fuori discussione), ma sui processi politico-mediatici innescati dai fatti di Parigi.
L’idea dello ‘scontro di civiltà’ è stata teorizzata e predicata da una certa corrente di pensiero conservatore statunitense che postula l’assoluta diversità e incompatibilità della ‘civiltà occidentale’ con quella islamica, simbolo di un ‘Altro’ che ci minaccia e da cui dobbiamo difenderci. Molto semplicemente, per gli amanti dello scontro di civiltà ‘l’Occidente’ e ‘l’Islam’ sarebbero due blocchi monolitici e immutabili, con dei valori essenzialmente in contrasto e irriducibili tra loro, e perciò destinati allo scontro, da cui uno solo uscirà vincitore. Altro ‘peccato originale’ di questa visione è l’idea che l’Islam possa essere l’unica lente attraverso cui leggere i processi politici e sociali dell’intero mondo islamico (ma sarebbe meglio dire dei mondi islamici), senza affatto considerare altre possibili prospettive: nazioni e nazionalismi, differenze di classe, di genere, ideologiche, movimenti culturali, sono solo alcuni dei tanti angoli prospettici in cui potremmo posizionarci come osservatori.
Il problema è che, anziché restare semplicemente un’idea confinata a qualche circolo, giornale o think tank, questa visione è ciò che ha animato e giustificato le politiche di tutti gli stati occidentali in materia di politica estera, sicurezza, immigrazione, rapporti con le minoranze, negli ultimi quindici anni almeno. Così, non volendo (o forse sì), le nostre classi dirigenti hanno creato il terreno perfetto per il proliferare di estremismi anti-occidentali. I cosiddetti fondamentalisti (termine usato spesso impropriamente, e molto abusato) sguazzano gioiosamente nel discorso e nelle politiche confezionate dagli stati occidentali. Dialogo con l’occidente? “Quale occidente?” direbbero loro, “quello che ha bombardato i civili in Afghanistan, Iraq, Yemen, Somalia, Pakistan? Che ha appoggiato regimi dittatoriali che garantivano i loro interessi economici? Che rifornisce da decenni armi e aiuti a Israele mentre questi occupa e massacra palestinesi?”.
Insomma, a forza di predicarlo (e praticarlo), lo scontro di civiltà si materializza sempre di più, creando quel nemico (elemento essenziale per uno scontro) che se prima era debole e stentava ad emergere, adesso fiorisce e si riconosce perfettamente in quel terreno di combattimento diviso in due (da una parte i buoni dall’altra i cattivi), e dove non c’è spazio per l’attenzione alle storie, alla complessità, alla variegata galassia di fattori e processi sociali che stanno alla radice di eventi tragici come quello di questi giorni. In sintesi, detta con le parole di un mio collega e amico, “plasmando l’immagine di un Occidente e di un Islam separati non si fa altro che spingere chi non riconosciamo come parte di quell’Occidente nell’altro stampino, creando il nostro nemico”. L’ISIS e i governi occidentali, i terroristi di Parigi e i vari Le Pen e Salvini hanno bisogno l’uno dell’altro, si nutrono e crescono l’uno dell’esistenza dell’altro. Non lo sanno, ma sono due facce, indivisibili, della stessa schifosa oppressione.
E infatti già adesso, la macchina repressiva si concentra sui quartieri a maggioranza musulmana, mentre da noi si ripete che bisogna vietare le preghiere islamiche e le moschee, e che siamo stati troppo ‘buonisti’ di fronte all’arrivo degli immigrati (e che quindi, deduco, avremmo dovuto lasciarli morire in mare o nel deserto, secondo i valori della civiltà occidentale).
Io non pretendo che i miei amici musulmani (si dice musulmani, non islamici!) chiedano scusa o prendano le distanze da questi attentati. Come io non mi sento di dover chiedere scusa per la guerra in Iraq, in Afghanistan, per le torture di Guantanamo, le stragi quotidiane di palestinesi e siriani, gli attentati fascisti e islamofobi delle destre. Combatto tutti i giorni contro i governi che seminano devastazione sociale e i loro eserciti obbedienti di soldati, polizia e camerati. Non siamo esponenti della stessa ‘cultura’, eppure qualcuno ci etichetterebbe insieme come ‘occidentali’, così come la maggior parte dei due miliardi e più di musulmani nel mondo non hanno niente a che spartire con i tre del commando parigino o con i miliziani dell’ISIS. Di Occidente (ammesso che poi esista) non ce n’è uno solo. Perché dovremmo pensare che la cosa sia diversa per il mondo islamico? Storie, tradizioni, lingue, identità locali, religiose, politiche, non solo sono tantissime e diversissime tra coloro che ricadono sotto queste due etichette, ma sono in continua evoluzione, da sempre soggette alle forze sociali, economiche, politiche, di chi lotta per affermare interpretazioni discordanti, e visioni conflittuali degli stessi valori, ideali, siano essi laici o religiosi. Lo dimostra il fermento che c’è oggi sull’una e sull’altra sponda del Mediterraneo, tra chi lotta, tra mille difficoltà e pericoli, per costruire società realmente libere, giuste, solidali.
Intellettuali e politici di destra italiani, a partire da Oriana Fallaci, passando per Gasparri e Salvini, e arrivando a Sallusti, sono i maggiori seminatori di questo odio basato su una visione a blocchi contrapposti, quando parano esplicitamente di una “civiltà superiore”, invocano “operazioni militari” contro “il nemico in casa”, puntano il dito contro “l’islamizzazione” delle nostre società (!) e gridano “basta barconi”. Ma il verme strisciante dello scontro di civiltà si annida (ed è forse quello più pericoloso) anche tra i liberali e democratici intellettuali ‘di sinistra’, e persino grillini, con il loro perbenismo, qualunquismo, razionalismo, ateismo, sempre pronti all’uso.
Le finte lacrime di chi pubblica l’hashtag #jesuischarliehebdo colmo di indignazione per la barbara uccisione dei giornalisti francesi mentre poi, ad esempio, non ha mai speso una parola per i morti ammazzati dalle dittature arabe, spesso laiche, ancor più spesso filo-occidentali, sono lacrime selettive, e quindi stupide, o peggio ipocrite e strumentali. Sono le lacrime di chi piange come se ci fossero morti ‘nostri’ (quelli importanti, perché rappresentano la nostra ‘civiltà’) e morti “di altri” (quelli che non contano granché, perché non ci appartengono), anziché semplicemente vittime e carnefici.
È facile fare il tifo contro ‘i cattivi’. È comodo ma ingannevole cercare un nemico, facilmente identificabile, con un nome e una faccia ben precisa, sia esso l’Islam, le religioni tutte, l’immigrato, o l’uomo bianco. Più difficile prendersi il tempo per capire questioni complesse, non accontentarsi delle spiegazioni che restano sulla superficie. Qualcuno potrebbe rimanere deluso scoprendo che quei fantasmi non esistono, che sono solo creazioni inculcate nelle menti per generare la paura e il risentimento, e così coltivare l’odio e il bisogno di essere protetti dalle insidie del mondo là fuori.
La chiamata alle armi per la guerra santa è già stata lanciata. Noi non ci arruoleremo.
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