di Roberto De Lena
Mea culpa: mi sono interessato solo di recente, e in maniera del tutto superficiale, alla teoria delle stringhe. A quanto pare, filosofi e fisici teorici del nostro tempo sono non da oggi persuasi del fatto che le quattro dimensioni che noi esseri umani riusciamo a percepire (alto-basso, avanti-dietro, destra-sinistra, tempo) siano solo una parte di quelle che compongono l’universo nel quale il nostro splendido e misero pianeta sta, mentre scrivo, navigando. Devo dire che la cosa mi ha scioccato non poco, così ho pensato di uscire di casa e non pensarci più. Il mio materialismo, se così si può dire, mi impedisce di dedicarmi per troppo tempo a questioni astratte ed illusorie e mi impone di restare ancorato alla realtà. Anche perché, nonostante abbiano messo a punto sistemi tecnologici molto avanguardistici e mastodontici, sparsi qua e là per il mondo, gli scienziati oggigiorno pare non siano ancora riusciti a trovare una giustificazione scientifica alla teoria matematica dell’esistenza degli universi paralleli. Così ho ripreso, dicevo, ad occuparmi di temi (che poi sono persone) molto più materiali, rispetto ai quali sono solito interessarmi. A leggere e studiare, per esempio, del tema del debito pubblico italiano.
Esso va aumentando in maniera allarmante e le politiche economiche messe in atto dai governi che si vanno succedendo (per volontà non-popolare) dallo scoppio della cosiddetta crisi stanno solo aggravando la situazione, come accanendosi contro un malato in fin di vita. È fin troppo chiaro, d’altronde: fino a che continueranno a chiedere prestiti agli istituti bancari privati e a prolungare le scadenze per il risarcimento degli stessi, gli interessi si alzeranno e si alzeranno, ed è impossibile che di questo passo si riesca a ridurre (addirittura al 60%, poi, è ridicolo) il rapporto tra debito pubblico e PIL, salvo voler attuare una vera e propria carneficina sociale. E ciò, nonostante ce lo chieda l’Europa. Perché il PIL non ha nessuna speranza di crescere, e di crescere significativamente non ne parliamo, se si continuano ad attuare le famigerate politiche di austerità, imposte dalla stessa Europa. Non dall’Europa della convivenza tra i popoli e della democrazia che vorremmo, ma da quella dei banchieri che hanno visto i propri interessi essere messi in salvo dal trasferimento forzato di ricchezze dalle casse degli stati a quelle delle loro banche. La più grande truffa della storia, qualcuno l’ha definita.
Così provo ad osservare da un’altra angolatura (non intendo certo evadere nelle stringhe e negli universi paralleli) ma le cose non vanno molto meglio. Ho guardato all’attuale governo: un governo giovane, di facce nuove (talmente nuove che pensano che essere eletti dal popolo, per governare, sia una prassi stantia) che sta varando riforme strutturali a ritmi forsennati e vele spiegate. Lo “sblocca-Italia”, ad esempio, che permetterà di fare di quella parte di territorio (poca, per la verità) ancora rimasta immune dalla folle furia dei palazzinari, un enorme campo minato di perforazioni e trivellazioni per l’estrazione di gas e petrolio utili a far ingrandire le tasche delle multinazionali, di traforazioni di monti e di valli necessarie per spianare la via alle grandi, e di interesse strategico nazionale, opere. E poi la spending review, che esorta gli enti locali a privatizzare i beni comuni, acqua in primis. E ancora la sanità, e le pensioni, e l’istruzione. Si attende, ormai come una minaccia, pure la riforma del terzo settore, dopo quella della cooperazione internazionale.
Per non parlare della riforma del lavoro: viene depotenziato, ci viene detto (in pratica smantellato del tutto) in un solo colpo di fiducia, l’articolo 18, una delle più grandi conquiste dello statuto dei lavoratori. La precarietà diventa la conditio sine qua non che regolerà i futuri rapporti di lavoro; la disciplina di fabbrica più dura e la libertà dei lavoratori di organizzarsi seriamente compromessa. O ancora: il piano casa. Mentre sempre più persone stentano a far fronte alle spese di ogni giorno, tra cui quelle relative al mantenimento di una abitazione, viene imposto di staccare l’allaccio delle utenze a quanti occupano “abusivamente” (agendo così su un bisogno fondamentale, quello ad una vita dignitosa) e viene loro negato, nel contempo, il diritto ad avere accesso all’iscrizione al registro della popolazione residente del comune nel quale si sta vivendo.
Guardo ancora da un’altra parte: alle politiche relative alle dinamiche migratorie contemporanee. Non parliamo certo di fenomeni dell’ultimo anno, e neppure di due anni fa, ma che interessano i territori italiani oramai da oltre un ventennio. Eppure le politiche prevalenti messe in atto per la gestione del fenomeno continuano ad essere quelle emergenziali, che favoriscono solo gli appaltatori più furbi e contribuiscono ad inasprire il clima di tensione sociale, di guerra tra poveri, che già si respira in molti luoghi d’Italia, e che nelle periferie romane è già squallidamente esploso. Per di più il nostro paese abbandona l’operazione Mare Nostrum, un’iniziativa certo limitata, tardiva, criticabile e parziale, ma che ha permesso nello scorso anno di mettere in salvo migliaia di vite umane.
Deve esserci un filo, penso, che lega tutte queste (e molte altre) scelte politiche, un filo che non sono sicuro di voler vedere dipanato in tutta la sua chiarezza. Temo, infatti, che potrei scoprire, dipanandolo, che quelli che stanno in alto, coloro, i pochi, che ancora hanno il potere di scegliere e di incidere, abbiano deciso di sferrare un attacco deciso, e forse decisivo, all’esistenza e alla dignità di milioni di uomini e donne. Credo che potrei scoprire che siamo nel mezzo di una guerra (la quarta mondiale?) condotta dai ricchi e dai potenti della terra contro i poveri e i dannati della storia. Credo che potrei, insomma e mio malgrado, provare con fatti e dati alla mano, e molto prima dei cari studiosi del Cern di Ginevra, l’esistenza di due mondi paralleli, che confliggono pericolosamente tra loro. Non resta che aggrapparci alla speranza di un altro big-bang, magari generatore di una nuova, e più matura, vita in comune.
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